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"La Pasqua di Vallucciole" di Carlo Levi

La mattina dopo era ancora buio quando fummo svegliati da dei colpi alla porta e degli spari. Non avemmo neanche il tempo di scendere da letto che già la porta era sfondata e la casa piena di soldati tedeschi. lo ero mezzo addormentato, saranno state le cinque del mattino. Un tedesco che sembrava un cane arrabbiato, mi prese per un braccio e mi buttò giù dal letto gridando: « Fuori! » Volevo vestirmi; non mi lasciò il tempo. Mi potei infilare soltanto i pantaloni, ma le scarpe non me le lasciò prendere. A spinte e a calci mi buttarono fuori dall'uscio; lo stesso fecero al Vanni che me lo ritrovai vicino, di fuori, contro il muro della casa di faccia. Li c'era già qualcun altro, delle case vicine: tutti uomini. La casa del Vanni è una delle prime, in basso venendo da Stia.
Per terra c'erano delle cassette piene di bombe e di munizioni pesantissime. Ce le fecero caricare sulle spalle e ci misero in riga contro il muro, con le cassette addosso. Ognuno aveva un tedesco vicino, col mitra spianato. Dovevamo stare immobili. lo avevo il Vanni di fianco a me e guardavamo la casa che era ancora piena di tedeschi. Ma la moglie del Vanni e le bambine dove erano? Erano rimaste in casa e sentivamo gridare. I tedeschi sparavano dentro e fuori. Poi i tedeschi uscirono e sprangarono la porta. Non sentivamo più gridare le bambine, ma vedemmo il fuoco dalle finestre. Allora ci urlarono di metterci in fila e di camminare. Ognuno aveva un tedesco dietro. Il Vanni era davanti a me e si voltava, sotto il peso delle cassette, verso casa: ma ogni volta che egli volgeva il capo il suo tedesco gli dava un colpo sul viso con la punta del bastone ferrato. Anche il mio tedesco, quello che veniva dietro a me, mi spingeva con un bastone, e se appena facevo un passo più lento, su quelle pietre del sentiero ancora buio, sentivo nelle reni la punta del suo bastone e le bestemmie della sua voce di falsetto. Il mio tedesco era biondo, slavato, piccolo con gli occhi bianchi, tutto vestito di verde e in testa un elmo troppo grande. Sembrava un fungo, un fungo velenoso. Era un diavolo.
Così camminammo per delle ore. Ad ogni casa ci fermavamo e dappertutto la stessa storia. I tedeschi entravano: gli uomini venivano buttati fuori e caricati con le cassette: la nostra fila si allungava. Nelle case le donne e i bambini venivano ammazzati subito. E le bestie, anche, nelle stalle. E poi davano fuoco. Cambiavano soltanto il modo; qui con la benzina, in un'altra casa con le bombe incendiarie, e massacravano con le bombe, coi fucili, coi mitra, con le mazze, coi coltelli. Avevano arsenali di armi e le adoperavano. Noi si sostava, e poi si tornava a camminare nella salita, sotto il peso, e il sole era nato dietro le montagne, e vedevamo il fumo uscire da tutte le parti, e si sentiva in tutta la valle gridare, e i pianti e gli urli delle donne e delle bestie scannate egli spari e gli scoppi, e su verso il prato del Falterona si sentiva anche il cannone. La schiena ci faceva male, ma stavamo ben attenti a non fermarci, a non inciampare. Un vecchio di settant'anni, il Lucherini, che non si reggeva in piedi, si fermò, il tedesco che gli stava dietro gli sparò subito una scarica alla testa. Dalla loro casa tirarono fuori gli Orai. Lei, signor Nerini, li conosceva, è una famiglia di ciechi dalla nascita: sono tre fratelli tutti ciechi. Quelli provarono a portare le cassette sul sentiero ma come potevano fare? Lo dissero che erano ciechi ma i tedeschi li spingevano a randellate. E quando, prima uno, poi l'altro, poi il terzo caddero con le loro cassette, gli spararono nella testa e li lasciarono lì.
Verso le otto siamo arrivati alla casa del Becherucci. Lì c'è un piccolo piazzo, e subito un burroncello profondo e pieno d'alberi. Sullo spiazzo, ci fermammo, al solito, perché i tedeschi dovevano dare l'assalto alla casa. Che confusione! La casa era grande, la famiglia numerosa, c'erano molte donne e anche delle famiglie di sfollati che erano venuti quassù dalla città per sfuggire ai bombardamenti. Il fuoco e le grida salivano al cielo. I tedeschi sembravano impazziti, con una specie di ferocia frenetica. Si erano buttati su quelle donne prima di ammazzarle. Nella casa c'era anche del buon vino. Ad un certo punto, il mio tedesco, il mio angelo custode che non mi aveva mai lasciato di un passo, volle anch'egli partecipare alla festa. Lo vidi togliersi dalla cintura una bomba incendiaria e correre alla finestra d'angolo per buttarla dentro. lo non stetti a riflettere. Mi feci il segno della croce e prima di essermi accorto di quello che facevo avevo buttato la cassetta e rotolavo giù per il burroncello in mezzo alle piante. lo conosco bene quei luoghi: ci sono nato, ci sono sempre andato a caccia. Mi venne l'ispirazione di non scappare lontano. che mi avrebbero visto, ma di restare in fondo a quella piaggia, che c'è un nascondiglio dietro una roccia. In un momento c'ero arrivato. Mi buttai sotto la roccia, mi coprii di foglie secche e rimasi acquattato, senza tirare il respiro.
Passarono due o tre minuti, poi i tedeschi cominciarono a sparare dal ciglio del burroncello, verso il fondo delle raffiche di mitra, e buttarono delle bombe a mano. Ma io ero coperto dal macigno. Sentivo i colpi battere sulla pietra, ma non sapevo più dove ero. Stavo immobile.
Gli spari cessarono. Sentivo lo stridio del fuoco nella casa del Becherucci e il rovinio del tetto che cadeva, e il lamento continuo di un cane ferito. I tedeschi dovevano essersene andati. Dal mio buco sotto la pietra; io vedevo soltanto un piccolo pezzo di cielo sopra il ciglio del burrone e le fronde di qualche albero verso la cima del pendio, e spiavo immobile. E vidi sul ciglio, profilate su quella fetta di cielo bianco muoversi le gambe verdi di un tedesco che andava avanti e indietro come una macchina. Avevano lasciato una sentinella per vedere di riprendermi. Io lo guardavo fissato quelle gambe come le lancette di un orologio che segnasse le ore della mia vita.
In quel nascondiglio le urla e gli spari mi giungevano attenuate per la distanza; come di sottoterra. Le gambe andavano avanti e indietro, poi non le vidi più. Soltanto il tronco di un albero si stagliava sul cielo. Il tedesco era forse partito? Oppure si era seduto in disparte e mi spiava invisibile?
Rimasi in attesa un'ora, due ore, chissà quanto tempo. Ad un certo punto sentii un rumore come di sassi sul pensio. Era forse un rumore del bosco o il piede del tedesco? Non ne potevo più. Le braccia, le gambe, la schiena mi si erano intorpidite in quella immobilità, cosi tesa, sotto le foglie secche. Guardavo con tutta la intensità dei miei occhi su quel piccolo pezzo di cielo ed a un certo punto vidi degli uccelli sulle ultime frasche degli alberi, subito sotto il ciglione, tranquilli e in pace. Era una coppia di tordi: il cuore mi si allargò; se i tordi scendevano così sicuri, voleva dire che il tedesco non era più là, ma se ne era andato davvero, o forse si era allontanato di cinquanta passi, ed era venuto dietro a me a sinistra, dove la roccia mi copriva lo sguardo? Passò un altro tempo che mi parve infinito, e poi vidi un falchetto volare basso verso là, verso sinistra. Se l'uomo era ancora laggiù, il falchetto non si sarebbe avvicinato. Mi decisi allora a mettere fuori il capo; poi a uscire dalla mia tana e a rizzarmi in piedi. La casa bruciava ancora, ma nessuna voce si sentiva nelle vicinanze. Mi stirai, mi mossi, senza far rumore, mi parve di rinascere. Ma dove sarei andato? Da lontano, da tutte le parti della valle mi giungevano i rumori della strage; era come una grande caccia dove la selvaggina non aveva rifugio. Ed io, come un animale braccato, rientrai nel mio buco e tornai a coprirmi di foglie.

 
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