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Quintilio Bacconi "Bibi"

IL 28 DI GIUGNO (di Quintilio Bacconi « Bibi »)

Montaltuzzo aveva messo in luce quale dovizia di uomini e di mezzi Top-pressore fosse disposto ad impiegare pur di stroncare la nostra attività. Era nel pen­siero di tutti noi che, dopo il primo smacco, avrebbe scatenato una nuova offensiva con forze ancora maggiori, destinate a sterminarci ed a scoraggiare chiunque altro dall'intraprendere l'iniziativa temeraria di sfidare il suo strapotere dove erano am­massate le sue munizioni ed il suo carburante. Ridotti notevolmente di numero e sprovvisti di munizioni anche per l'armamento leggero e superficiale che era­vamo riusciti a conquistarci, ci saremmo votati al suicidio se avessimo deciso di attendere a pie fermo il nuovo imminente attacco. Ma non facemmo niente per recuperare quelli che non si erano ripresentati spontaneamente, ritenendo dove­roso lasciare alla scelta responsabile di ogni singolo un rientro in condizioni che presentavano troppo scarse possibilità di scampo. Renzino non cercò affatto di sminuire la gravita della situazione e non volle sapere di trasferirci in pros­simità della linea del fronte per varcarla e porsi al sicuro nel territorio liberato dagli alleati. La cosa sarebbe equivalsa ad una diserzione in massa, che ci avrebbe squalificato davanti alla nostra coscienza ed alla nostra gente mera­vigliosa. Del resto, se avesse deciso in tal senso, non l'avremmo obbedito, perché non era oltre il fronte che avevamo la casa e la famiglia da difendere. Egli ci riunì per ammonirci del pericolo incombente ed invitò con franchezza e per l'ultima volta chi non si sentiva il caraggio di restare, ad andarsene senza timore di suscitare ombra di disprezzo o di risentimento in chi decideva di restare. Renzino non si accontentò di una risposta cumulativa, passò davanti ad ognuno di noi con gli occhi fissi nei nostri occhi per ascoltare dalla nostra viva voce ogni decisione individuale. Quando passò davanti a me non so cosa dissi di preciso; so che pensavo in cuor mio: « Succeda quel che succeda, io i miei compagni non li lascio ». Tutti dovettero pensare allo stesso modo. Gli ex­prigionieri, Carlo, Giovanni, Jimmy e Francesco avevano chiesto un po' di giorni di riposo e si erano recati dai loro conoscenti nella zona di Badia Agnano. Otello ed i compagni della Val d'Ambra erano stati inviati nella loro zona d'origine, il più lontano possibile da Montaltuzzo, che era facile prevedere destinato ad essere al centro della nuova azione del nemico. Rimanemmo con Renzino una quarantina o poco meno. Nostro obbiettivo immediato era quello di raggiungere la formazione di Raoul che, con un fortunato lancio al­leato aveva perfezionato l'armamento dei propri ragazzi, tutti elementi di va­lore provato, ed ora stava per trasferirsi dal Pratomagno a Mongirato, nei pressi di Pergine. L'unificazione o l'azione concordata delle due bande, quando fosse
stato sferrato un nuovo attacco, avrebbe consentito di tener testa ai tedeschi o di rompere il loro accerchiamento o, almeno, di difenderci meglio. Noi ch'era­vamo la parte più numerosa della formazione, prendemmo dunque la via che doveva condurci alla banda di Raoul. Puntammo direttamente a casa Campo-dalti dalla famiglia Volpi, coltivatori diretti, gente brava e fidata. Vi giungemmo che il sole era prossimo al tramonto.
Non ho una memoria di ferro. Quello che ricordo perfettamente è che in famiglia c'era una fanciulla dai capelli neri ed ondulati, bella come una piccola fata.

Era la sera del 28 giugno.