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Nella provincia di Arezzo, nel tragico 1944, furono trucidati 17 sacerdoti ed un seminarista appartenenti: dieci alla diocesi di Arezzo, cinque a quella di Fiesole e due alla diocesi di San Sepolcro.
Emergono fra questi alcune figure: un sacerdote martire insieme al fratello nella città capoluogo ed altri, eroici, nelle stragi di Civitella della Chiana e di Castelnuovo dei Sabbioni.
Se qualcuno, arrivando ad Arezzo, chiederà di visitare il luogo più sacro della Resistenza, lo porteranno al carcere e gli mostreranno una cella trasformata in sacrario. Ivi il 15 giugno 1944 furono massacrati Sante e don Giuseppe Tani, il giovane Rossi Aroldo e due partigiani che, insieme ad altri, avevano compiuto il non riuscito tentativo di liberarli. L'unica colpa del sacerdote assassinato consisteva, secondo i carnefici, nell'avere egli gli stessi ideali di libertà del fratello, capo partigiano Sante, e nell'affermare e credere che per quegli ideali anche un sacerdote può e deve, se necessario, morire insieme ai migliori del suo popolo.
Dopo solo quattordici giorni, a Civitella della Chiana, si ebbe uno dei più feroci e gravi massacri di innocenti che quei tempi infausti abbiano conosciuto.
Per tre tedeschi uccisi perirono in quel giorno duecentocinquanta uomini e, terribile nemesi della storia, fra questi anche alcuni che, per essere essi fascisti, i tedeschi avrebbero dovuto risparmiare. In quella circostanza però ogni uomo che parlava italiano doveva essere massacrato. In questa tenebra di sangue fiammeggiò allora la luce di un sacerdote, il parroco, don Alcide Lazzeri, medaglia d'oro al valore civile.
Don Tiezzi, sopravvissuto alla strage, ci ha ricordato come don Lazzeri chiese ai nazisti di morire lui, lui solo, al posto dei figli innocenti: una mitragliatrice gli rispose col piombo e fece del pastore e del popolo accomunati nel sangue, un segno di sacrificio e di eroismo alto sulle colline che guardano la Chiana e il non lontano Trasimeno. In questa circostanza furono pure uccisi mons. Sebastiano Fracassi, canonico aretino ivi sfollato, il seminarista Giuseppe Pasqui, mentre, non lontano, nella frazione di San Pancrazio, insieme agli ostaggi del suo popolo, moriva don Giuseppe Tonelli. Furono perciò tre sacerdoti ed un seminarista quelli che al popolo dettero testimonianza di coraggio e di certezze eterne nell'ora della morte.
Nella stessa terribile operazione di rappresaglia il fuoco della violenza raggiunse anche una plaga della diocesi di Fiesole, e precisamente Castelnuovo dei Sabbioni, Meleto e Massa dei Sabbioni che ebbero i loro parroci: don Ferrante Bagiardi, don Giovanni Fondelli e don Ermete Morini, trucidati insieme al loro gregge.
Don Bargiardi ripeteva il 4 luglio lo stesso gesto che pochi giorni prima aveva compiuto l'arciprete di Civitella della Chiana. Al muro che sta sotto la sua chiesa erano stati raggruppati ottanta uomini destinati a morte. Don Ferrante che se ne poteva stare al sicuro in canonica esce nella piazzetta chiede prima che siano lasciati liberi quegli innocenti e quando si rende conto che l'ufficiale tedesco ha preso ormai la sua tragica decisione, si mette in mezzo a loro, dà l'assoluzione, distribuisce l'Eucarestia e li rassicura: "Vi accompagnerò io davanti al Signore". Il piombo, anche in questo caso accomunò il sangue del padre insieme a quello dei figli.
Poco più in alto, letteralmente scannato, moriva don Ermete Morini mentre a Meleto periva, insieme agli ostaggi, il parroco don Giovanni Fondelli.
Insieme ai tre sacerdoti soprannominati fu ucciso anche il seminarista Ivo Cristofani. Così quattro del clero a Civitella e dintorni, quattro a Castelnuovo, otto su quattrocento vittime, il conto delle belve tornava.
Se Arezzo, Civitella e Castelnuovo dei Sabbioni furono i calvari più dolorosi del clero aretino e fiesolano, non possiamo dimenticare che ci sono ben altri otto sacerdoti assassinati nella eroica e provata provincia.
Muore nel mese di luglio a Faeto il parroco don Dante Ricci per non aver voluto svelare i nomi della Resistenza, per lo stesso motivo viene ucciso il sacerdote di Sansepolcro don Domenico Mencaroni, mentre don Francesco Babini, sacerdote della stessa città, trasportato a Forlì, viene ucciso a Pieve a Quinto, insieme ad otto detenuti politici. A Castiglion Fiorentino trova morte violenta padre Paolo Roggi, marista, mentre il 5 settembre 1944, viene trucidato a Partina, vicino a Bibbiena, il parroco don Ezio Turinesi.
Sempre a Bibbiena, in località Campi, viene ucciso il domenicano padre Rosario Mirabene.
Ritornando nel Valdarno, a Pulicciano, frazione di Castelfranco di Sopra, il parroco don Bianco Cotoneschi che si era più volte adoperato per fare fuggire i giovani della parrocchia ricercati dai tedeschi, fu preso dall'ultima pattuglia nemica ed insieme al suo giovane sagrestano ucciso in un bosco non lontano dalla sua chiesa.
Per ultimo, in questo doloroso martirologio del clero aretino e fiesolano ho lasciato la coraggiosa figura del francescano padre Ra_aello Perricchi. Egli, quando seppe che alcuni suoi parrocchiani di Chiusi della Verna erano stati feriti dai tedeschi in fase di rastrellamento, corse a soccorrerli e, colpito dalla rabbia nemica, trovò eroica morte dopo avere lungamente agonizzato nel più completo abbandono. Era il 14 giugno 1944.
Con questa straziante morte del padre francescano si chiude la lista dei 17 sacerdoti e seminaristi assassinati nella provincia di Arezzo e mi si presenta quella ancora più sanguinosa delle provincie di Lucca, Pisa e Massa Carrara ove, per il ristagnare della guerra nella Linea Gotica, più lunga e più terribile fu la tragedia dell'occupazione straniera e più aspra la lotta partigiana.
Don Giuseppe Pesci, I sacerdoti toscani vittime dei Nazifascisti, in "Il clero toscano nella Resistenza atti del convegno - Lucca 4-5-6/4/75".