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Vasco Palazzeschi "Mara"

Lazio Cosseri - Giulio Bruschi - Vasco Palazzeschi 'Mara' Vasco Palazzeschi, "Mara" racconta la battaglia di Cetica

La decisione di portare una compagnia della Brigata "Lanciotto" a Cetica non fu presa a cuor leggero. Al Comando di brigata si erano discussi a fondo i prò e i contro e, pur non sottovalutando i rischi che la decisione comportava per il reparto impiegato e per la popolazione, prevalse la tesi a favore della necessità di rafforzare la nostra posizione in Cetica. In precedenza vi avevano già organizzato un posto di ascolto radio e distaccato un piccolo nucleo per questo servizio. Ora eravamo in attesa del lancio di armi. Da tempo avevamo trasmesso le nostre parole d'ordine: «Amerigo viene - Amerigo ritorna - Amerigo verrà» e avevamo preparato nei pressi dell'Uomo di Sasso il campo per riceverlo. Non ci rimaneva che attendere di ricevere via radio la parola d'ordine annunciante l'arrivo dell'aereo, perciò si doveva restare permanentemente in ascolto.
Questo lancio purtroppo non arrivò mai e i sacrifici sopportati durante le numerose nottate passate all'addiaccio all'Uomo di Sasso ottennero, dall'aereo "amico", soltanto qualche raffica di mitraglia preannunciante quella certa diffidenza che riscontrammo poi da parte degli Alleati nei confronti delle Brigate garibaldine.
Ma la necessità di rafforzare la nostra presenza in Cetica era confortata anche da altri importanti motivi. Obiettivo principale era quello di chiudere questa porta d'accesso al Prato Magno, così come già si erano chiuse quelle di Pian di Sco', Castra, Montemignaio-Pian Scaglioni. Si doveva impedire a ogni costo che il Prato Magno, ormai liberato, potesse ritornare in mano nemica e divenire un luogo di rifugio e di sosta per i nazifascisti in ritirata o, peggio ancora, un caposaldo di resistenza atto a contrastare l'offensiva alleata. Oltre ai motivi militari, come quello anzidetto, cui si può aggiungere l'organizzazione di una base avanzata, dalla quale far partire rapide incursioni offensive, c'era la necessità di assicurare il rifornimento di viveri e di tutto quanto era necessario alla popolazione e alle forze partigiane, divenute ormai consistenti in tutta quella regione.
D'altra parte, pur non sottovalutando l'insufficiente dotazione di fuoco a disposizione di una nostra compagnia rispetto a quella delle forze nemiche in caso di scontro frontale, ritenemmo di avere raggiunto un grado soddisfacente di efficienza per armamento, disciplina e solidarietà del reparto incaricato, che si veniva poi a rafforzare tenendo conto dei rapporti di collaborazione raggiunti con la popolazione tutta. Non credo di dire cosa non rispondente alla pura verità se affermo che la popolazione faceva tutt'uno con i partigiani e poteva ritenersi forza combattente di prima linea, pienamente cosciente della buona causa per cui combattere e della inevitabilità dei rischi da affrontare.
A Cetica, con l'arrivo della nostra 2a Compagnia, fu data una sistemazione organica a questi rapporti di collaborazione, già da tempo stabiliti in varie forme e, in alcuni casi, in modo molto estemporaneo. Fu anche possibile realizzare un più preciso assetto del rapporto di lavoro. È da ricordare il largo impiego, regolarmente retribuito, di boscaioli per la costruzione di capanne e per il trasporto di viveri o di altri materiali necessari, nonché l'organizzazione di distribuzioni di generi alimentari (carne, zucchero, grano ecc.) iniziate già da tempo, e la sistematica collaborazione per una sempre più efficiente rete d'informazioni.
Infine la porta di Cetica fu chiusa. In Prato Magno nessuno poteva più entrare senza il nullaosta del nostro Comando. Chiunque, per lavoro o per qualsiasi altra ragione, avesse avuto la necessità di transitare entro la "piccola repubblica del Prato Magno", doveva munirsi dì un lasciapassare della nostra Brigata.
Su richiesta degli interessati e nel caso che la nostra permanenza si fosse prolungata, si era già pensato di rilasciare speciali autorizzazioni per la caccia, resa necessaria per migliorare le risorse alimentari. Così i nostri rapporti con la popolazione si consolidarono sempre più.
Esercito di liberazione e popolazione si unirono saldamente e non mi pare sia neanche il caso di ricordare che mai nessuno ebbe a lamentare la minima mancanza di riguardo a cose o persone da parte dei nostri giovani combattenti. Eravamo tutta una famiglia e, come tali, ci comportavamo da ambedue le parti in piena fraternità di intenti.
Lungo sarebbe raccontare gli innumerevoli episodi, rievocare i tanti fatti di guerra e i più cari ricordi legati ai fraterni rap¬porti stabiliti. Credo però di poter affermare, specialmente per i giovani, che coloro che vissero quella breve esperienza della "piccola repubblica del Prato Magno" ebbero modo di intravvedere cosa potrebbe essere una società realizzata con quei vincoli di solidarietà umana, di libertà e di giustizia. Né mi pare inopportuno riconoscere, certo autocriticamente, che durante questi anni avremmo dovuto fare qualcosa di più per rievocare quei momenti in incontri organizzati. Ma torniamo ai ricordi: la battaglia di Cetica. Accadde il 29 giugno.
Ricorrendo a un infame inganno, tedeschi e repubblichini, mascherati da partigiani, tentarono di cogliere di sorpresa la 2a Compagnia accampata in Cetica. Probabilmente pensavano di poterla distruggere nel sonno, ma avevano fatto male le loro previsioni, perché tre chilometri prima di arrivare a Cetica si trovarono di fronte ad un imprevisto: una nostra pattuglia, che faceva come di consueto buona guardia, li avvistò e non esitò a ingaggiare combattimento e a inviare una staffetta al Comando di compagnia.
Fu questo un primo importante successo che permise di prendere rapidamente e per tempo le misure atte a difendere la posizione e a far evacuare la popolazione, onde metterla in salvo, nel mentre che si informava il Comando della Brigata "Lanciotto".
Abbiamo già detto che il reparto era bene organizzato e sperimentato al combattimento. Senza esitare, disciplinatamente, i tre distaccamenti furono disposti in semicerchio sulle parti più alte, decisi a resistere a oltranza. Ma, a questo punto, ci trovammo di fronte a una nuova infamia: tedeschi e repubblichini, sempre camuffati da partigiani, venivano avanti facendosi scudo di donne e ragazzi costretti con la minaccia delle armi, per impedire a noi di rispondere al fuoco. Questa vile azione permise loro di arrivare su Cetica e, appoggiati dal fuoco dei mortai, iniziarne la distruzione.
La nostra resistenza non venne però meno neppure di fronte a questa situazione. Ciò valse a salvare una parte dell'abitato e il mulino, e a far ripiegare gli attaccanti verso altra direzione. Quello di Cetica fu un vero e proprio combattimento, di tipo inconsueto per noi, addestrati all'attacco a sorpresa seguito da rapida ritirata, come è nella pratica della guerriglia. Qui, al primo scontro frontale per difendere la posizione, riuscimmo a far seguire le iniziative necessarie a manovrare, fronteggiare e respingere con opportuni rinforzi, inviati dal Comando di brigata, le forze nazifasciste spedite da Montemignaio con l'obiettivo di stringere i difensori di Cetica in un cerchio di fuoco e distruggerli.
Fallito questo obiettivo, i tedeschi e i fascisti, che erano riusciti a raggiungere Cetica e a distruggerla quasi completamente più con l'inganno che con la forza delle loro armi, si resero ben presto conto che non avrebbero potuto mantenere la posizione nemmeno per un giorno. Infatti, nel primo pomeriggio, iniziarono la loro frettolosa ritirata e non si resero nemmeno conto che una nostra compagnia si apprestava a tender loro un'imboscata sulla strada di Pagliericco, dove subirono gravi perdite, lasciando sul terreno una cinquantina di morti.
In tutta la battaglia i tedeschi subirono una perdita accertata di 55 uomini ed ebbero numerosi feriti. Anche per noi purtroppo il bilancio di questa giornata fu pesante: dieci partigiani caddero combattendo, sei rimasero feriti. Assassinati dai fascisti e dai tedeschi caddero anche dodici civili che, a mio avviso, vanno considerati autentici appartenenti alla Resistenza, in quanto la popolazione fu sempre attiva al nostro fianco. Andarono inoltre perduti molti quintali di grano, granturco, zucchero, pasta e altri generi alimentari; molti capi di bestiame rimasero uccisi, furono distrutte case e mobilio della popolazione di Cetica.
Non fa parte del nostro costume metterci l'abito retorico dell'eroismo, ma quella fu davvero una dura giornata. Con dolore immenso, ma senza drammi, seppellimmo i nostri morti, curammo i feriti e subito ci preoccupammo di portare un aiuto concreto a quella generosa popolazione, rimasta in maggioranza spogliata di ogni avere. Distribuimmo quanto avevamo potuto salvare: diversi quintali di zucchero, grano, farina gialla, pasta. E inoltre una somma di denaro (110.000 lire), coperte e capi di vestiario.
Vi furono numerosi episodi di partigiani che si tolsero parte del loro vestiario, lasciandosi addosso il minimo indispensabile, per dimostrare, in uno slancio generoso di solidarietà, tutto l'affetto fraterno che li legava alla popolazione di Cetica; legami profondi, indistruttibili, perché nati nel dolore e nella lotta. Noi rimanemmo quasi senza viveri e, per una quindicina di giorni, si andò avanti con castagne secche, un po' di zucchero e dell'immangiabile carne arrostita (senza sale e senza pane).
Ma anche questa difficoltà fu superata, alla maniera partigiana, che sapeva fare di necessità virtù. La lotta non era finita e altre battaglie impegnative ci attendevano. Iniziammo la riorganizzazione e il 7 luglio, al Passo di Castra, in una riunione di comandanti e commissari politici, Potente espose la proposta del Comando unico toscano: unire le brigate "Lanciotto", "Sinigaglia", "Caiani" e "Fanciullacci", organizzandole in un'unica Divisione. La proposta fu accettata da tutti e, dopo avere eletto democraticamente i comandanti e i commissari della nuova formazione, il 10 luglio la Divisione "Arno" emetteva il suo primo ordine del giorno, che praticamente avviava la marcia per la liberazione delle città e dei villaggi delle nostre contrade, fino alla liberazione di Firenze.