Nato a Cortona l’11 giugno 1909, falegname.
Arrestato il 28 gennaio 1933 viene ammonito e sottoposto a vigilanza come elemento pericoloso in linea politica.
Testimonianza autobiograficaLa mia vita di antifascista, schedato politico, ammonito e carcerato sotto il governo di Mussolini, mi preparò ad affrontare con piena coscienza del dovere da compiere, il difficile periodo clandestino.
Nel 1941 arrivarono in Cortona degli internati civili di guerra, Inglesi, Francesi, Albanesi, Egiziani, Maltesi ed Ebrei. Di questi internati aiutai, per quanto mi fu possibile, specialmente la signora Dorothea Poggioli Cooke e la figlia Peggy; il signor Golemi Carlo, albanese; la signora Lilienthalowa Rosa, ebrea polacca; il signore Spizz e la sua signora, ebrei austriaci; la famiglia Labj, ebrea di nazionalità inglese, la famiglia Mandel: tutta gente abbandonata a sé stessa, senza più la protezione della propria patria, sorvegliata continuamente dalla polizia fascista, evitata da molti degli italiani, che temevano di venir compromessi; gente perseguitata e sola in paese straniero.
Procurai loro quanto mi fu possibile di viveri e medicinali e di quanto altro avessero avuto bisogno; quando ci fu la minaccia della deportazione in Germania, portai in salvo molti di loro tra i partigiani in montagna. Il buon ricordo che hanno serbato di me queste persone mi ha compensato dell'opera svolta.
In Cortona nel 1942, col mio vecchio compagno Luigi Passalacqua, ex confinato politico a Lipari, eravamo riusciti a formare un movimento antifascista con circa 40 elementi fra i più coraggiosi e sicuri. Scopo di questo movimento era di intensificare fra il popolo la propaganda contro la guerra voluta dal fascismo e di procurarci armi e munizioni per servircene al momento opportuno.
Venne 1’8 settembre 1943. Poche settimane dopo, con Bruno Valli ed altri, si parlò di organizzare sulla montagna gruppi di partigiani. Infatti Bruno Valli partì per la montagna per non prestare servizio militare sotto la repubblica fascista e fu partigiano e capo di partigiani fino alla liberazione. Io rimasi a Cortona a procurare armi e munizioni per altre formazioni partigiane della zona, e perché volevo rimanere vicino ed essere utile ai miei amici internati.
Così ebbe inizio quella vita dura, ma animata da un forte ideale, che impose a tutti i veri italiani un grande spirito di sacrificio, e il coraggio e la forza di affrontare sempre nuovi pericoli e nuove difficoltà. Ciascuno di noi era uscito dal corso normale della sua esistenza; eravamo tutti dei fuori legge su cui pendeva la pena di morte minacciata dai tanti manifesti del comando militare tedesco. Ci trovammo disorientati e sbandati i primi giorni, poi ci accorgemmo che c'era tanta gente, di ogni razza, lingua e colore, come noi e più di noi disorientata e sperduta, che cercava e chiedeva il nostro aiuto.
Infatti nelle montagne di Cortona, a Cantalena (me lo disse Remo Ricci che era lassù insegnante) erano arrivati i primi soldati alleati fuggiti dai campi di concentramento, i quali sprovvisti di tutto, avevano urgente bisogno di assistenza. Nella cameretta della signora Cooke fu discusso con lei e sua figlia il da farsi, e fu deciso di portar loro soccorso in qualunque modo. Chiesi perciò anche la collaborazione agli amici più intimi e sicuri dai quali ottenni denari, indumenti, medicinali e viveri.
La prima volta che andammo a Cantalena con la signorina Peggy Cooke era un mattino freddo di novembre. Mio nipote Mario Ferrari di Roma, ci attendeva per la strada in un punto stabilito, avendo con sé quanto era necessario; vicino a Cantalena in mezzo alla macchia ci attendeva Remo Ricci, che ci fece conoscere John, un americano con una grande cicatrice sulla faccia. Così vidi finalmente un soldato alleato e potei dare a lui la grande gioia di incontrare finalmente persona che parlava la sua lingua. Ritornammo molte altre volte a Cantalena e i ripidi sentieri fra le macchie e i boschi di abeti, querce e castagni, ci divennero familiari in quelle fredde e umide giornate d'inverno. Conoscemmo più ancora Giorgio, inglese, Gordon, canadese ed altri di cui non ricordo ora il nome. A poco a poco penetrammo nella vita passata di questi ragazzi e cominciammo a partecipare a tutte le vicende della loro difficile vita presente. Giorgio aveva la famiglia a Londra, da civile faceva l'impiegato di banca, era alto, quadrato di spalle e sopra queste una testa bruna di meridionale con due occhi neri e dolci, in un volto di bimbo innocente. Egli si affezionò molto a Gordon, biondo, esile e delicato di salute. Non lo lasciò mai un istante, quando una pleurite lo obbligò a rimanere per molti giorni a letto. E furono giorni di grande commozione e di molte preoccupazioni anche per coloro che sentivano il dovere di aiutare questi ragazzi. Anche quella volta, grazie alla buona volontà e alla generosità degli amici miei di Cortona, tutto andò per il meglio e ogni difficoltà fu superata.
Ricordo poi un incidente che fece seguito a una lauta cena e soprattutto ad alcuni fiaschi di buon vino, che gli ex prigionieri consumarono nella piccola casa in montagna, che era diventata il loro asilo sicuro. John, l'americano, a banchetto finito ci dette prova delle sue qualità di pugilatore, conciando in male modo un suo compagno. In seguito il colpevole abbandonò per sempre la compagnia e il rifugio.
Uno dei tanti pomeriggi brevi di dicembre, quando la sera raggiunge veloce il dorso del monte S. Egidio, sempre accarezzato dai venti del nord, mentre la signorina Peggy ed io ritornavamo stanchi da Cantalena, fummo raggiunti dal parroco di quella frazione. Ci disse che correvano delle voci allarmanti. Una presunta spia nazifascista si aggirava nella zona. Decidemmo di far disperdere i nostri protetti e di allocarli temporaneamente dentro alcune capanne di frasche nascoste nel folto della macchia che il cognato del parroco costruì per loro. Intanto continuava la mia attività di partigiano, tra rischi, pericoli e marce forzate per procurarci viveri, armi e possibilmente prigionieri, fra colpi di mano e giochi d'astuzia. Il 10 maggio 1944, in località Torreone fui catturato dai tedeschi. Mi trovavo in quella località per tentare di acquistare delle armi dai loro stessi soldati. Quella volta andò male, e fui portato al comando tedesco nel convento delle Stigmatine, con molte carezze di calci di moschetto sulla testa e sulla schiena. Venni giudicato per direttissima e, riconosciuto partigiano, fui avvertito che al mattino seguente sarei stato fucilato se non avessi rivelati i nomi dei capi partigiani della zona. Durante la notte, per un caso miracoloso, riuscii a fuggire e raggiungere la mia formazione partigiana, assieme a mio nipote Mario Ferrari, dove rimasi fino al 3 luglio, giorno della liberazione di Cortona.
In quel giorno con me da Cantalena oltre ai miei compagni partigiani, riuscii a portare sani e salvi in città 33 internati ebrei e 22 tra ufficiali e soldati alleati ex prigionieri di guerra. Più tardi, nel febbraio 1945, mi arruolai volontario nei gruppi di combattimento del Corpo Volontari della Libertà con la brigata Matteotti, aggregata alla V Armata americana. Feci quanto potei da buon italiano sul fronte di Bologna, ma il mio pensiero andava e va continuamente a quanti fecero più di me immolando la vita per la Patria e la nostra causa.