Verrebbe da dire che se, storicamente, il romanzo storico educò
alla conoscenza del passato generazioni di lettori ottocenteschi,
nel Novecento la stessa funzione è stata egualmente assolta dalla
carta stampata, ma anche dal cinema (la bibliografia sull'argomento
è sterminata), dal teatro, in tempi più recenti dalla televisione e,
per una parte, anche dal fumetto.
Proprio sul valore storiografico di quest'ultimo non sono mancate
le riflessioni. Un bellissimo catalogo italiano di qualche anno fa1
studiava e classificava le variazioni dell'immagine dell'antico Egitto
diffuse attraverso i comics italiani, francesi e americani per segnalare
come, attraverso il fumetto, si fossero sviluppate forme di cultura
interdisciplinare al di fuori dei confini accademici.
La stessa idea era poi ripresa da un catalogo francese altrettanto
interessante2 che invece poneva l'accento su come il fumetto fosse
diventato un potente fattore di sviluppo dell'immaginario
occidentale. Insomma nel primo caso si indicava un valore anche
pedagogico del fumetto, mentre nel secondo lo si indicava come
spia dell'evoluzione della nostra cultura.
Più di recente, proprio ad Arezzo, Sergio Staino, disegnatore e
scrittore che di questa materia presenta una lunga esperienza ed
un'ampia bibliografia, illustrava l'uso del fumetto come forma di
comunicazione storica, sviluppando, all'interno di un convegno,
un intervento che si appoggiava anche sulla visione pratica di alcune
tavole disegnate per raccontare un episodio della lotta partigiana3.
L'argomento illustrato da Staino ha un lontano precedente4 ed alcuni
esempi molto recenti5, ma non si può dire che, attualmente, sia
molto utilizzato. E' invece ciò che la Provincia di Arezzo ha voluto
sperimentare, in occasione del 25 aprile 2003, circoscrivendo in
cinque storie alcuni caratteri della lotta di liberazione nelle vallate
aretine.
Va detto, naturalmente, che la bibliografia della resistenza nella
provincia di Arezzo ha ricevuto negli ultimi anni, soprattutto a
partire dalle manifestazioni rievocative del 50° anniversario della
Liberazione nazionale, un forte spinta con un'ampia pubblicistica
che spazia fra la produzione memorialistica e quella saggistica,
quest'ultima rappresentata in grande misura dal contributo portato
da un rilevante numero di studiosi che ha affrontato il tema delle
stragi naziste nel nostro territorio attraverso scritti ed interventi
nelle occasioni convegnistiche. Molto opportunamente la Regione
Toscana ha pubblicato quest'anno una bibliografia ragionata6 che
si presenta come utile contributo alla conoscenza e stimolo alla
ricerca in questa materia.
Nella realizzazione di questo fumetto si voleva evitare di cadere
nella retorica, ma anche mostrare la possibilità di raccontare episodi
veri, attraverso una forma di comunicazione inconsueta come il
fumetto, seppure andando incontro a qualche rischio di
incomprensione, dato che, in genere, il termine "fumettistico" è
utilizzato in senso dispregiativo.
Per individuare le storie da raccontare si è dunque escluso, da un
lato, di affrontare un tema tanto complesso come quello delle stragi
o dell'internamento nei campi di concentramento italiani (temi
che trovano ancora impegnati storici e ricercatori e che utilizzano
forme di comunicazione tradizionali come il libro, il saggio storico)
e, dall'altro, di ricorrere a storie di fantasia, come sarebbe invece
nella tradizione del fumetto.
La scelta è caduta su cinque episodi - uno per vallata ed uno per il
capoluogo - che, in tempi diversi, sono stati raccontati dagli stessi
protagonisti e che fanno perciò parte della più ampia bibliografia
aretina della resistenza.
I personaggi che compaiono nelle storie sono perciò la
rappresentazione di personaggi reali, che hanno compiuto, in una
determinata situazione storica, degli atti, grandi o piccoli, che hanno
contribuito a quella che definiamo oggi Resistenza.
Come sappiamo, dopo la caduta del fascismo e più ancora dopo
l'armistizio dell'8 settembre 1943, la situazione italiana (e così
quella della nostra provincia) venne a trovarsi improvvisamente
ribaltata: i tedeschi, in precedenza alleati del governo fascista
italiano, divennero nemici del nuovo governo che, fuggito da Roma,
si era costituito a Brindisi; l'esercito tedesco si trasformò in esercito
occupante; le Forze armate italiane rimasero senza ordini ed i soldati
italiani, considerando che la guerra fosse finita, cercarono di tornare
al più presto alle loro case.
Tutto ciò avveniva mentre due eserciti, quello angloamericano e
quello tedesco, si combattevano per il controllo del Paese, ciascuno
alleato di uno dei due governi presenti nel territorio italiano: al
nord la Repubblica Sociale (la cosiddetta Repubblica di Salò) che
interpretava la continuità del fascismo e l'alleanza con la Germania
nazista; nel sud il Governo del maresciallo Badoglio che,
seppure nella continuità con la monarchia (i cui massimi esponenti, con il
Re in testa, erano fuggiti dal Paese e dalle proprie responsabilità),
era alleato degli angloamericani e rappresentava la rottura politica
con il passato regime.
In realtà nessuno dei due governi aveva autorità per governare:
quello "repubblichino" era di fatto agli ordini delle autorità militari
tedesche e svolgeva esclusivamente compiti di repressione e di
polizia; quello di Badoglio era stretto dai sistemi di controllo
angloamericani.
Una risposta importante venne dai cittadini italiani, dagli ex militari,
da quanti non accettarono di entrare a far parte dell'esercito della
Repubblica di Salò e scelsero di organizzarsi militarmente e di
condurre fino in fondo una guerra di liberazione contro i nazisti
occupanti e contro i residui politici e militari del fascismo.
Nella realtà locale e sotto il profilo politico, gli antifascisti aretini,
organizzati nel Comitato Provinciale di Concentrazione
Antifascista, che divenne ben presto Comitato Provinciale di
Liberazione Nazionale, cominciarono a strutturare le forme del
futuro governo chiamando al proprio interno i rappresentanti di
tutti i partiti e movimenti antifascisti; sul piano militare si
organizzarono per "bande" di partigiani che facevano capo ad un
unico comando militare (quello conosciuto come "XXIII Brigata
Pio Borri", dal nome di uno dei primi caduti partigiani). Nelle
bande partigiane confluirono antifascisti della città e delle
campagne, renitenti alla leva ed ex militari, perseguitati dal fascismo
e prigionieri evasi dai campi di concentramento esistenti sul
territorio aretino (come quello di Renicci di Anghiari, dove erano
deportati e reclusi cittadini di origine slava e come quello di
Laterina, dove i prigionieri erano soldati ed ufficiali di varie
nazionalità dell'esercito Alleato: inglesi, francesi, russi, sudafricani,
ecc.). Moltissimi erano i giovani e giovanissimi che entrarono nelle
formazioni partigiane come combattenti e molti furono i ragazzi,
meno che ventenni, che assunsero funzioni di comando delle
formazioni: basta rammentare Pio Borri, Licio Nencetti, Eduino
Francini, Raoul Bellocci, Athos Fiordelli.
Una parte consistente del territorio della provincia di Arezzo era
allora interessata dalla costruzione della "Linea Gotica", la linea
difensiva dell'esercito tedesco in ritirata ed in quest'area si
verificarono gli scontri più cruenti fra le formazioni partigiane e
l'esercito tedesco; attorno alla Linea Gotica i tedeschi, spesso
affiancati dai fascisti, agirono per spazzare via ogni forma di
ostacolo alla propria ritirata. Ed è in queste zone che si verificò la
catena dei più efferati crimini compiuti dai reparti delle SS tedesche
contro la popolazione inerme.
Per comprendere queste cinque storie occorre aver chiaro questo
contesto e non bisogna cercare un "atto eroico" che le cambi dalla
condizione di vita vissuta a quella avventurosa. Esse rappresentano
qualcosa che somiglia ad un eroismo collettivo nel quale il filo
comune è rappresentato dalla necessità di cacciare i tedeschi, al di
là di qualunque difficoltà: lo scarso armamento delle formazioni
partigiane a fronte della macchina bellica nazista; l'esiguità del
numero dei patrioti contro uno dei più potenti ed agguerriti eserciti
del mondo di allora; l'inesperienza militare dei giovani partigiani
contro l'organizzazione e la strategia degli alti comandi tedeschi
che a nulla rinunciano, ivi comprese la rappresaglia sulle
popolazioni civili e la strage premeditata.
Ad Arezzo, nella prima storia, siamo nei giorni appena precedenti
la liberazione. La vicenda è raccontata da
|
|
|
Fulvio Righi, un ex carabiniere proveniente da Padova, entrato nella resistenza nelle
formazioni casentinesi, prima con Zuddas (anche lui ex
carabiniere), poi con Licio Nencetti ed infine nella "Pio Borri" e
poi decorato con Croce di Guerra al merito. Righi, nome di battaglia
"Gioia", ricevette l'ordine di penetrare nel capoluogo assieme ad
altri partigiani, per precedere l'arrivo delle truppe Alleate. La città
era nelle mani dei tedeschi ed il "commando", consapevole del
rischio che correva e della impossibilità di andare allo scontro
militare con forze enormemente superiori, decise di rifugiarsi in
un palazzo cittadino in attesa dell'arrivo degli Angloamericani. I
partigiani erano disarmati (l'azione era molto pericolosa e
l'eventuale cattura con armi indosso non avrebbe lasciato loro
nessuna possibilità di scampo). Il racconto descrive questa attesa,
il modo di procurarsi le armi in un secondo momento, la
contemporaneità di questa vicenda con un fatto gravissimo come
è la strage commessa dai tedeschi a S. Polo, alle porte di Arezzo, a
poche ore dalla liberazione. Gli stessi episodi, con poche differenze
che non siano il diverso taglio del racconto, sono narrate da Enzo
Droandi. A questi due autori si è fatto riferimento anche se nel
racconto di Righi, che parla da protagonista, sono più presenti le
ansie, le speranze, le tensioni dell'azione partigiana.
Il secondo episodio si svolge in Valdichiana, a Foiano della Chiana
e vede protagonisti un gruppo di partigiani che si scontra, un po'
casualmente, con una pattuglia nazifascista. Anche in questo
episodio il racconto viene da uno dei protagonisti, che in questo
caso è Ezio Raspanti - allora sedicenne - decorato di medaglia
d'argento per l'attività partigiana svolta. L'azione è rapidissima
ed inevitabile (a conferma che i partigiani non cercavano lo scontro
ad ogni costo). E' un fascista, autista dei tedeschi, che dà l'allarme
e scatena il fuoco incrociato. Ci sono feriti da entrambe le parti,
c'è l'ansia per il destino delle famiglie possibili bersagli di
rappresaglia, la tristezza per la successiva cattura di un gruppo di
partigiani ed antifascisti. La storia, volutamente, si ferma a questo
episodio e non racconta delle sevizie che i partigiani catturati
dovettero sopportare, né della fucilazione di tre di loro sulla piazza
di Foiano decisa dal Comando tedesco ed eseguita da un plotone
d'esecuzione di fascisti italiani.
L'episodio riferito alla Valtiberina ha invece un carattere non
comune alle storie di resistenza. Lo racconta Orlando Pucci,
partigiano ed operaio della Buitoni, anche lui decorato con Croce
di Guerra al merito. Le formazioni partigiane penetrano nella città
biturgense sottraendola al controllo dei tedeschi ed organizzano
una difesa che durerà un mese intero. I partigiani vengono descritti
come uno strano esercito nel quale i turni di servizio tengono conto
delle esigenze familiari, l'organizzazione della difesa viene
"pensata" giorno per giorno e coinvolge, oltre alla cittadinanza,
militari sbandati che si aggregano ai combattenti di Sansepolcro.
Quasi a completare il successo dell'azione partigiana, il racconto
di Orlando Pucci si sofferma sulla vicenda del salvataggio dei
preziosi affreschi di Piero della Francesca messi a rischio dal
cannoneggiamento della città da parte degli inglesi, attestati ad
Anghiari.
L'episodio Casentinese si svolge a Bibbiena, all'interno dell'albergo
Amorosi-Bei. In questo caso si tratta di un'azione fulminea, che si
protrae, in tutto, per meno di due minuti. Una pattuglia partigiana,
agli ordini di Licio Nencetti, penetra nell'albergo bibbienese,
consueto luogo di ritrovo dei fascisti locali, e qui si scatena il
finimondo. Al termine dello scontro rimane ucciso un giovane
allievo ufficiale, figlio di un gerarca fascista, commissario
straordinario del fascio repubblicano bibbienese. Sulla morte del
giovane si scatena la propaganda fascista che, seguendo la versione
fornita dai fascisti della guardia nazionale repubblicana, attraverso
la stampa, amplifica l'episodio e sostiene che una banda di 70
uomini aveva attaccato i fascisti nel locale causando la morte del
giovane. Invece, le altre testimonianze alle quali si è fatto ricorso
per raccontare questa storia, provengono da fonti di diversa natura:
la figlia del proprietario dell'albergo (presente al fatto), due dei
partigiani che parteciparono all'azione, il dottor Gaetano Conti,
all'epoca medico condotto di Bibbiena, il parroco don Vito
Pendolesi. Tutte le testimonianze, ciascuna da un'angolazione
diversa, concordano nell'affermare che il giovane cadde sotto il
fuoco dei fascisti mentre solo sette partigiani avevano fatto irruzione
nel locale. Le autorità fasciste, ben consapevoli di come i fatti si
fossero svolti, impedirono che venisse eseguita l'autopsia che
avrebbe dimostrato da quale arma era partito il proiettile che uccise
il giovane. Le versioni di questo episodio, raccolte da Ezio Raspanti,
hanno quasi le caratteristiche di una sequenza cinematografica ed
un prolungamento nella scena della fucilazione di Umberto
Abbatecola (presente nel locale e probabilmente il vero obiettivo
dell'azione partigiana), avvenuta a Ganna, nel varesotto, nel 1946
a seguito della condanna a morte comminata dal Tribunale di Varese
istituito proprio per procedere contro i crimini nazifascisti: l'accusa
contestatagli faceva riferimento al proditorio assassinio di due
partigiani e alla partecipazione a numerosi rastrellamenti a fianco
dei nazisti.
L'ultimo episodio riferisce di una vera e propria battaglia, che dura
più giorni e che si svolge sulle pendici valdarnesi del Pratomagno,
mentre ad Arezzo siamo alla vigilia della liberazione. L'episodio
ruota attorno a "Rosamunda" la mitragliatrice della formazione
partigiana che con la propria presenza garantisce sicurezza e
protezione ed alla quale i partigiani avevano dedicato la parodia di
una canzonetta: "Rosamunda/ tu sei la vita per me/ più ne guardi e
più ne ammazzi/ RosamundaÖ". La descrizione della battaglia,
che coinvolge una formazione di 120 partigiani, proviene dal
rapporto di "Raoul", comandante dell'VIII banda autonoma del
raggruppamento "Monte Amiata" e, a suo modo, è perfino
minuziosa: traccia strategie e spostamenti delle forze in campo,
particolari degli attacchi e degli sganciamenti, trepidazioni e paure.
In questa storia componenti molto forti sono rappresentate dai
caduti, dell'una e dell'altra parte, dall'emozione per il
ricongiungimento con i compagni sopravvissuti, dal sollievo che
reca - dopo giorni di battaglia - la notizia dell'arrivo dei reparti
inglesi.
Possono sembrare cinque storie "ordinarie", simili a mille altre
avvenute in ogni angolo d'Italia durante la lotta di liberazione,
raccontate con il rispetto che è dovuto alle storie di vita vissuta.
Vogliono essere un invito ad andare a scoprire tutte le altre storie
che hanno punteggiato il nostro territorio ed il nostro paese durante
la resistenza, perché aiutino a capire quali e quanti sacrifici
affrontarono quei combattenti che volevano l'Italia liberata dagli
occupanti nazisti e dai loro alleati fascisti. Sono un piccolo tributo
di memoria che accomuna i caduti ed i sopravvissuti, i combattenti
e la popolazione di una provincia che per gli avvenimenti del 1943-
44, è insignita della medaglia d'oro al valor militare "per attività
partigiana".
1 E. Balzaretti - E. Cavalleris - E. D'Amicone (a cura di), Fumetti d'Egitto.
L'Egitto dei Faraoni nel mondo del fumetto, Electa, Milano, 1994.
2 Musées d'Angers, L'Egypte dans la bande dessinée, Angers, 1998
3 S. Staino, La storia a strisce, in "Comunicare storia", "Storia e problemi
contemporanei" n. 29/2002, Clueb, Bologna, 2002, pp. 63-66, con 12 tav.
fuori testo; atti del convegno di studi "Comunicare storia", organizzato da
Provincia di Arezzo e "Storia e problemi contemporanei", Arezzo 22-23
febbraio 2001.
4 I giorni della Resistenza. La Resistenza italiana narrata ai ragazzi da
Noemi Vicini Marri, Vania Vecchi, Rolando Baldini, Editori riuniti, Roma,
1973.
5 Valentina Ghelli, Franco Andreini, storia di un ragazzo come te, in "La
resistenza a fumetti", "Patria indipendente", n. 3, 2002. Eleonora Guzzo,
Un pomeriggio speciale con i nonni, in "La resistenza a fumetti", "Patria
indipendente", n. 3, 2002.
6 V. Galimi e S. Duranti (a cura di), Le stragi nazifasciste in Toscana 1943-
45. I. Guida bibliografica alla memoria. Presentazione di Enzo Collotti,
Regione Toscana, Carocci, Firenze - Roma, 2003.
|
|