24 aprile 1944
S. Giovanni Valdarno
Nella frazione di Santa Lucia i fascisti fucilano tre giovani che, poco prima, volevano passare per le armi nei pressi della Chiesa della Pieve di San Giovanni. Il primo tentativo era fallito grazie ad un improvviso assembramento di donne accorse a reclamare la liberazione dei tre prigionieri.
Si tratta di tre soldati che l’8 settembre si trovavano in Jugoslavia e erano avventurosamente rientrati in Italia traversando l’Adriatico con una barca. Giunti a S. Benedetto avevano combattuto sui monti piceni e che avevano poi deciso di raggiungere il movimento partigiano nel nord. Caduti in un rastrellamento delle brigate nere finivano i loro giorni sotto il piombo della fucilazione repubblichina.
Era il 24 Aprile dell'anno 1944. Per i repubblichini era ormai un'abitudine partire con un pullman dal comando fascista di S. Barbara e venire a S. Giovanni. Arrivavano verso le sei di sera. Metà scendevano davanti al bar del Papi, gli altri al ponte dell'ospedale. Armati di mitra e di bombe a mano, iniziavano il «rastrellamento». Le strade si facevano subito quasi deserte: solo qualche donna in faccende o qualche uomo con le carte «in regola» circolavano per il corso.
I repubblichini sapevano benissimo che i partigiani non erano in città,
ma non ardivano rastrellare verso il Pratomagno. Non avevano altro coraggio che quello di spadroneggiare su qualche malcapitato. Per le donne erano spesso parole oscene; per gli uomini, offese, schiaffi, tosatura dei capelli, qualche volta l'arresto.
II 24 Aprile il pullman arrivò al mattino, verso le dieci, e contrariamente al solito venne diritto nella piazza del municipio. I repubblichini scesero con le loro armi e le loro facce feroci. Già la piazza cominciava a vuotarsi, quando dal pullman furono fatti scendere 3 giovani con le mani legate dietro la schiena che vennero scortati fino alla chiesa della Pieve.
La notizia si sparse rapidamente, sono tre partigiani e senza alcun processo li vogliono fucilare qui in piazza per dare un esempio, per scoraggiare la resistenza ai nazifascisti, adesso sono in chiesa dal confessore, ma poi...
Alcune donne presero l'iniziativa, altre subito sopraggiunsero, in pochi minuti furono decine. Si avvicinarono ai fascisti reclamando la liberazione dei prigionieri: “perché volete ammazzare quei giovani, vigliacchi, assassini, lasciateli andare... potrebbero essere vostri fratelli...”
I fascisti ne furono sconcertati. Avevano creduto di incutere timore e si trovarono circondati da un muro di donne risolute. Minacciarono, ma non osarono ricorrere alle armi. Incalzati e pressati dalla collera delle donne sangiovannesi, risalirono in fretta sull'autobus spingendovi dentro anche i tre partigiani, e partirono.
La ferma opposizione delle donne salvò il paese dall'offesa di un'esecuzione pubblica, ma non riuscì ad impedirne l'assassinio.
Più tardi don Forzoni, il giovane sacerdote che volle fino all'ultimo assistere spiritualmente i partigiani, tornando pallido e disfatto da S. Lucia, riferì della stoica morte delle tre vittime fucilate dai mercenari di Salò.
Erano Gian Maria Paolini, tenente della Guardia di Finanza da Garessio; Settimio Berton, contadino di Vidor (Treviso); Francesco Fiscaletti, operaio di San Benedetto del Tronto. Quando l'otto Settembre il nostro esercito si era sfasciato, essi si trovavano in Jugoslavia. Con una piccola barca erano riusciti ad attraversare l'Adriatico, raggiungendo il porto di San Benedetto del Tronto. Insieme avevano dato vita alla formazione partigiana «Paolini», che ebbe duri scontri con i tedeschi sulle montagne del Piceno. Insieme si erano poi diretti verso nord per aggregarsi a formazioni partigiane più consistenti; ma sul Pratomagno erano incappati in un rastrellamento e catturati dalle brigate nere.